21 febbraio 2019

​È una questione di cultura

​Gli strumenti sono un facilitatore, ma non sono sufficienti a cambiare il modo di lavorare. Anzi, forse lo strumento deve venire dopo il cambiamento

Qualche mese fa abbiamo organizzato in Microsoft House un interessante incontro sul progetto di Smart Working (e non solo) che abbiamo fatto con Maire Tecnimont.

In quell'occasione Michele Mariella ci ha raccontato i mille aspetti critici di un progetto come quello, e quelle che si sono poi rivelate le scelte vincenti. E tra questi era preminente l'attenzione data agli utenti, la gestione del cambiamento non come una imposizione ma come un progressivo accompagnamento.

Ma oggi non vogliamo parlare in particolare dello Smart Working di Maire, ma di un aspetto che questo progetto ha in comune con molti altri.

Se vi occupate di informatica in azienda è probabile che l'abbiate visto, da vicino o da lontano: un progetto grande o grandissimo (relativamente alle dimensioni dell'azienda) fatto benissimo, sofisticatissimo e pensatissimo, che è durato tantissimo (se è finito). E che, magari dopo un gran lancio pirotecnico, è rimasto lì, tanto patinato quanto inutilizzato e poco interessante per gli utenti. Sono particolarmente soggetti a questo tipo di parabola, di esistenza effimera, i progetti CRM e le intranet (quando erano di moda), ma probabilmente esistono esempi in tutte le altre aree.

In particolare corrono lo stesso rischio collaborazione e sicurezza.

Il fatto è che è difficile far cambiare abitudine alle persone, mentre è facile semplicemente imporre una regola invalicabile. I progetti ERP non corrono il rischio di rimanere inutilizzati (salvo rare eccezioni) perché senza l'ERP non si lavora. Non si può ignorare l'ERP o continuare a usare il vecchio. Ma con il CRM o la intranet è diverso, se lavoravamo senza prima, allora possiamo continuare a fare senza. Soprattutto se si avesse l'impressione (errata) che invece di fare meglio, si faccia peggio e più lentamente.

Per fare una analogia: quanto è facile chiudere una strada al traffico, in confronto ad ottenere che i cittadini usino di più i mezzi pubblici e meno l'auto?

Tutta questa premessa per dire una cosa: in molti progetti la cosa veramente difficile non è la parte tecnologica, ma il convincere gli utenti a cambiare abitudini, a usare i nuovi strumenti in un nuovo modo.

E in alcuni casi non è nemmeno una questione di abitudini, ma di "cultura aziendale". È l'aria che si respira in azienda a condizionare o dettare i comportamenti. Gli strumenti non c'entrano, nel migliore dei casi sono un facilitatore.

 

E la collaborazione è l'esempio principe di questo problema.

Gli strumenti di collaborazione di Office 365 sono sicuramente i migliori. Teams, Skype, SharePoint, Office sono perfettamente integrati e considerano la collaborazione tra gli utenti la loro prima missione. Ma da soli non sono sufficienti.

Le persone molto spesso pensano di avere molti "buoni" motivi per non voler realmente collaborare,  varianti dello stesso filone. Ad esempio:

  • Mi tengo la proprietà intellettuale, così valgo di più per l'azienda

  • Non dico ai colleghi cosa sto facendo (da un cliente ad esempio) perché non si sa mai cosa potrebbero fare

  • Se qualcun'altro fa brutta figura io ci guadagno

  • Se coinvolgo qualcuno in una cosa poi magari domani quella cosa la fa lui (e io perdo un ruolo)

  • E così via …

Ma "il segreto del successo è di lavorare meno come individui e più come una squadra" (Knute Rokne)

Il fatto è che raramente i colleghi hanno obiettivi comuni, salvo quello generale del successo dell'azienda o del reparto. E anche questi ultimi spesso non sono nemmeno riconosciuti. Gli obiettivi dichiarati sono invece molto personali e tendono a mettere in conflitto le persone.

L'azienda dovrebbe invece premiare la collaborazione, non necessariamente direttamente, ma riconoscendo i meriti di chi aiuta i colleghi, magari a scapito dei propri risultati, o comunque facendo qualcosa in più che forse il ruolo non richiedeva.

Perché "collaborare" non significa solo lavorare insieme per un obiettivo comune, sempre che ci sia, ma anche aiutare i colleghi a raggiungere i propri. E far fare bella figura ai colleghi è una azione strategica, che ci ripaga a lungo termine, mentre agire per se stessi, a scapito dei colleghi, può dare benefici immediati, ma alla lunga è controproducente.


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