Un aspetto positivo dell'esperienza di questi ultimi mesi è l'aver smarcato il lavoro da casa, agile, "smart" (ma chi l'ha coniato?). L'anno scorso tutti ne parlavano, la maggioranza delle aziende non lo faceva, quelle poche che lo facevano ne traevano scarse soddisfazioni…* (da una vecchia battuta che girava tanto tempo fa in IBM: client-server like teenage sex). E i capi lo vedevano con sospetto, immaginandosi i dipendenti in casa a fare baldoria alle loro spalle. Poi è successo il pasticcio. E siamo rimasti tutti a casa. E chi poteva lavorava da casa e tutti erano contenti se riuscivano a combinare qualcosa, qualunque cosa…
Anzi, si è scoperto che nonostante i gatti che camminano sulla tastiera, i bambini che giustamente pretendono attenzione, i portali di e-learning che sono più complessi di certe piattaforme di procurement, mariti mogli e figli che ti consumano quella poca banda che il provider ha condiviso con tutto il quartiere, nonostante la necessità di passare ore in coda al supermercato per poi non trovare nulla (ma siamo stati in guerra???), nonostante altre mille difficoltà continue, moltissimi hanno continuato a lavorare come prima, anzi più di prima.
Teams è poi particolarmente adatto ad essere usato in questi contesti, con la possibilità di nascondere lo sfondo o persino di metterne uno farlocco e più professionale. Mancano solo i pantaloni sintetici (non di stoffa sintetica, sintetizzati nell'immagine) e la capacità di filtrare le urla dei bambini, abilissimi a mettersi a litigare nei momenti meno opportuni.
E alle aziende è piaciuto, giustamente. Sicuramente a questo punto non torneremo del tutto indietro, sicuramente abbiamo superato la diffidenza e abbiamo scoperto che chi ha voglia di lavorare non la perde perché è a casa, e che chi non ha voglia di lavorare alla peggio continua a non averla. E ora abbiamo stabilito con certezza che per molti è possibile lavorare da casa senza perdere efficienza, anzi in effetti con maggiore efficienza, se non altro perché ci si risparmia il tempo di trasferta.
Tanto che molte aziende stanno già dicendo che manterranno questo modo di lavorare, che non vogliono più tornare tutti in ufficio perché non serve, che si può avere un ufficio molto più piccolo di quello attuale. E ovviamente i veri vantaggi non saranno per l'azienda, ma per la comunità e di conseguenza per le persone.
Quindi, viva lo smart working?
Non proprio. Forse perché vogliamo essere coerenti con il titolo e con lo spirito di questa rubrica, ma ci sentiamo di spezzare una lancia a favore del caro vecchio "classic working" (coniato ora, l'alternativa ovvia non ci piaceva). Perché come sempre le esagerazioni non fanno mai bene, non solo nel cibo. Il fatto è che essere parte di un gruppo e sentirsi parte dell'azienda, sono cose importanti. Tanto che il "senso di appartenenza" è sempre stato un obbiettivo del tipico ufficio personale. Ed essere "colleghi" in Teams è un po' come essere "amici" in Facebook, una pallida copia della vera relazione umana. Più che colleghi, diventiamo scolleghi… Certo, Teams è meglio di Facebook, anche perché le amicizie Facebook sembrano essere usate troppo spesso per incanalare cattiverie, cosa che in azienda succede meno. Ma rimane il fatto che il contatto mediato dallo strumento informatico è freddo, allontana le persone e rende difficile se non impossibile "leggere" l'interlocutore. Quindi funziona tutto alla perfezione per quanto riguarda la comunicazione formale, funziona la collaborazione, funziona il trasferimento di informazione. Ma c'è poca umanità, si fa fatica a trasmettere o a sentire un'atmosfera.
Tutto questo non è un problema quando colleghi che hanno sempre lavorato insieme si trovano improvvisamente separati da un evento che impone le distanze, come ci è successo in questi mesi. Sono persone che già si conoscono e che già appartengono ad un gruppo. Ma far entrare persone nuove ci sembra sia molto più difficile. Non conoscono nessuno, non vedono nessuno, non hanno occasione di respirare l'aria aziendale. E sospettiamo che se si mantengono le distanze per molto tempo, finiremo tutti per perdere tutti quel senso di appartenenza, quello spirito di gruppo, che riteniamo sia essenziale perché le persone si sentano parte di una famiglia, non di un database. In effetti lavorando da casa e non vedendo mai nessuno, a parte l'orribile monotonia e solitudine, si finisce a essere solo imprenditori di se stessi, e non tanto del gruppo. Non ci sarà più "un posto di lavoro" ma solo "un lavoro". E a questo punto, uno vale l'altro, tanto sono comunque prevalentemente a casa. Crediamo quindi che l'eccesso di smart working possa portare a un aumento della rotazione e con questa a lungo termine a un peggioramento della qualità, sia del prodotto che del lavoro.
Quindi evviva lo smart working, ma con la giusta moderazione, e condito da frequenti sane classiche interazioni umane. In ufficio!
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* In realtà non è del tutto vero. Maire Tecnimont lo fa da tempo e pure con grande soddisfazione, e non è l'unica. Ma è vero che in molti casi la cosa è rimasta sostanzialmente sulla carta.