Il primo è stato il Guardian, in un articolo di una settimana fa. Poi la CNN il giorno dopo. E supponiamo che poi altri abbiamo ripreso l'argomento.
Durante la testimonianza al congresso del 5 ottobre, Frances Haugen ha raccontato che secondo uno studio fatto internamente da Facebook, si dedurrebbe che Instagram è psicologicamente tossico in particolare per le giovani donne ("We make body image issues worse for one in three teen girls,").
Una su tre!
Ovviamente Facebook (nella persona di Mark Zuckerberg) nega, anzi dice che i social network possono avere effetti benefici per la salute mentale.
La questione non è però limitata alle giovani. Basta guardarsi intorno per rendersi conto che i social possono essere usati per far credere a molti falsità che nessuna smentita riesce a far dimenticare, e che poi spingono le persone ad agire secondo l'agenda di qualcuno. È successo con le elezioni in molti paesi, con i vaccini, in Birmania (dove Facebook ha aiutato i militari a combattere i Rohingya), in Etiopia.
Secondo il Guardian tutto questo sarebbe analogo a quanto ha fatto l'industria del tabacco, che avendo fatto esaustive ricerche scientifiche nella speranza di dimostrare che il tabacco non faceva male, ha invece stabilito con certezza che era causa di tumori. E ovviamente ha cercato di nascondere sotto il tappeto ricerca e risultati, e continuato a sostenere che no, il tabacco non faceva male. In effetti a loro faceva benissimo.
No, Facebook e i produttori di tabacco in questo non sono simili. In confronto a Facebook, i produttori di tabacco sono dei pivelli.
Non c'è nulla da stupirsi quando di fronte al denaro qualcuno (azienda o persona) commette un reato. Fa parte della nostra natura, come il fatto di essere animali sociali. Il problema è che siamo un po' troppo animali, molto più degli animali veri.
Ma c'è una differenza importante tra chi vende roba che fa male alla salute e Facebook. I primi si limitano a far male al malcapitato (o autolesionista) consumatore. Ti piace il tabacco? Ecco. Ti piace l'alcol? Ecco. Ti piace scommettere? Si accomodi. Certo sono cinici e spesso bugiardi. Ma anche il cliente fa la sua parte.
Il social network è diverso, perché nella sua forsennata ricerca dell'utile a tutti i costi consente ad alcuni di diffondere un veleno che distrugge la vita di innocenti, mina la società, aiuta i delinquenti. Le vittime non sono solo persone che consapevolmente comprano qualcosa, ma anche tanti altri, che quella cosa forse nemmeno la usano.
Quello che ci stupisce non è l'ingordigia di Mark e compagni, ma l'inerzia di tutti noi, che in nome di una libertà che non ci serve, quella di poter scrivere qualunque idiozia su internet, ci rifiutiamo di regolamentare e limitare in modo serio queste piattaforme.
Se il direttore di un giornale è l'ultimo responsabile di ciò che pubblica, perché non può valere la stessa cosa per un social? Forse perché sarebbe impossibile controllare? Probabile, e in questo caso dobbiamo rinunciare al social. Non possiamo semplicemente consentire il danno.
E perché è così facile fare profili falsi sui social? Non si potrebbe multarli ogni volta che consentono a qualcuno di presentarsi per quello che non è? Ancora una volta: secondo noi non è importante che si possa fare il controllo. È importante attribuire la responsabilità, se poi è impossibile fare un social come Facebook stando alle regole che gli vogliamo imporre, allora Mark dovrà trovarsi un'altra occupazione, con buona pace di tutti.
Altra proposta: costringiamoli a fornire solo servizi a pagamento. Sarebbe analogo a quello che è successo con la televisione e la musica, che oggi in buona parte sono diventati streaming a pagamento. Questo eliminerebbe gran parte degli account falsi e ne aumenterebbe il costo, limitando un poco la possibilità di fare campagne basate su identità inesistenti.